Corriere del Giorno (Provincia Jonica) del 26 novembre 2004

I segni del privilegio – Castelli e manieri erano la materializzazione del “signore”
Palazzi e medioevo, potere, relazioni sociali e vestigia antiche. Di questo e di altro si è discusso mercoledì scorso, in un piacevolissimo dibattito tenuto nel castello Stella Caracciolo, per l’inaugurazione della mostra fotografica “Le Pietre del Potere – Medioevo in Terra Jonica”.
L’allestimento itinerante, curato dal C. R. S. E. C. TA/49 con la collaborazione dello storico Gianluca Lovreglio, del fotografo Leonardo Pisani, e dello studio “De Franchis”, ha fatto tappa nella struttura del piccolo centro jonico, dopo aver toccato le città più importanti della provincia.
Va subito spesa una parola sulla scelta del castello: forse la struttura meglio conservata di un territorio ricco di simili, ma non altrettanto di cura. Perché il medioevo, infatti, ed il castello che ne è simbolo, non si “museizzano”, non si conservano, una volta per sempre, cristallizzati in una forma da guardare pagando il biglietto”.
Sono parole dello storico Lovreglio, che rappresentano il senso di un allestimento che prima di “mostrare”, smentisce.
Il medioevo, infatti, ritenuto “convenzione cronologica”, periodo buio pretestuosamente utilizzato per controbilanciare l’epoca dei “lumi”, o l’umanesimo cinquecentesco, altro non è, se non un’astrazione un espediente linguistico e storiografico comodo per descrivere un rapporto di potere.
Le “pietre del potere”, i palazzi ed i manieri, sono appunto la materializzazione del concetto, la conferma di una sensazione che vuole la parola “medioevo” legata più ad un atteggiamento storicamente trasversale che ad una rigida classificazione. Lovreglio, durante il dibattito, è chiaro nell’individuare la ragione di questa sensazione: I “signori” che ancora nel ‘700 erigono palazzi dal truce aspetto governativo ricorrono a quest’espediente per giocare ancora il ruolo di dominus”, spiega lo storico, “non lo fanno per sottolineare l’importanza del casato, quanto soprattutto per giustificare la condizione di privilegio nella quale si trovano ad esercitare un potere retrò, dal vago sapore medievale”.
Si tratta di un medioevo della mentalità, trascinato in alcune zone d’Italia fino ai primi del ‘900, aberrazione di un periodo che fu florido e che la frustrazione dei cronisti trecenteschi volle uniformare a quel secolo realmente funesto da essi vissuto.
La corte, la cavalleria, le dame ed i codici d’onore, sono l’immagine corretta del medioevo, un esercizio di “saper vivere” che anche nella cucina trova confortanti conferme. L’appassionato ed “invitante” intervento della prof. ssa Maria Teresa Coltoti, linguista dell’Università di Bari, ha svelato almeno due aspetti della culinaria medievale: era florida e ricca di ricette, e nell’Italia meridionale coltivava la sua sublimazione. Il rinnovato vigore degli studi sulla letteratura culinaria, infatti, ci porta verso un periodo profondamente segnato dall’arte della cucina, sapientemente intrecciata con le esperienze straniere (spagnola e araba) e la fantasia della necessità (il pubblico della mostra ha anche fatto esperienza diretta dei sapori antichi, gustando un particolarissimo buffet medievale preparato da tre ristoranti locali).
Completata la rivalutazione ideologica, dell’architettura medievale è superfluo dire che l’imponenza ne è il segno distintivo.
La partenza è la medesima: simboli o dimore, la necessità di porti al centro della vita di comunità ne dilata le grandezze.
Due esempi sono portati all’attenzione del pubblico: il castello Stella – Caracciolo, che ospita la mostra, ed il complesso Episcopio – Palazzo Baronale di Castellaneta.
Del primo, il “competente” intervento del sindaco di Palagianello, l’arch. Francesco Petrera, traccia immediatamente la peculiarità: il castello, riferimento di un abbozzo di urbanistica ante litteram, con la città che si sviluppa sotto le mura del medesimo, seguendone le ideali direttrici.
Don Domenico Giacovelli, archivista e cancelliere della Curia castellanetana, ha descritto invece la singolarità dell’incontro che segna gli edifici castellanetani: tra il potere civile ed il potere ecclesiale.
Nato castello normanno, il palazzo baronale attraversò numerose vicissitudini  prima di essere acquisito al patrimonio diocesano e divenire seminario; ed anche allora, la storia di questo splendido manufatto restò incerta.
L’episcopio deve la sua forma attuale al corposo restauro che mons. Vassetta fece durante il suo episcopato, riprendendolo dallo stato indegno (come lui stesso fece incidere sullo stipite dell’ingresso) in cui versava.
Strutture queste, che aspettano un restauro doveroso che le reinserisca nel tessuto culturale e tradizionale del territorio, perché, parafrasando le parole del prof. Loreto, che con il prof. Terzulli ha offerto la collaborazione dei due istituti superiori dei quali sono dirigenti, “bene architettonico e territorio siano endiadi e non binomio”.
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