Le Masserie – seconda

Le Masserie storiche del territorio di Palagianello

Parte seconda

Il Settecento
II catasto onciario del 1750 fu istituito da Carlo III di Borbone (1716-1788). Per la prima volta tutte le proprietà furono sottoposte a tassazione. In esso la residenza agricola, vista come abitato stanziale, viene citata con il termine di torre e non ancora con quello di masseria. In Puglia il fenomeno delle masserie, come oggi lo intendiamo, è storicamente recente. I fattori che lo determinarono furono la riforma fondiaria voluta da Carlo III di Borbone nella prima metà del ‘700 e attuata solo parzialmente, vista la dura opposizione operata dai grandi proprietari terrieri e la atavica sudditanza della popolazione. La sua espansione cominciò a partire dalla fine del Settecento, in seguito ad ulteriori riforme fondiarie emanate sotto la pressione di alcuni economisti napoletani, quali Mario Pagano e Gaetano Filangieri. L’attuazione delle riforme ebbe come risultato un notevole aumento della produzione agricola in tutto il Regno di Napoli e segnò anche per la Puglia una fase di crescita. Nel Settecento erano i Caracciolo, marchesi di Santeramo, che annoveravano tra i loro possedimenti il territorio di Palagianello per intero. In quasi tutta la Puglia si sviluppò e si consolidò un sistema di organizzazione della media e grande azienda cerealicolo-pastorale in masserie, centri di attrazione di grandi masse di immigrati stagionali. A testimonianza di ciò basti pensare ai caseggiati rurali sorti nelle campagne per ospitare i coloni, quali, per Palagianello, la masseria di Pozzo di Sarro, costruita nel 1770 e sulla cui facciata un’iscrizione ne spiega esplicitamente la destinazione d’uso voluta dal Caracciolo. Il popolamento periodico delle campagne spinse la Chiesa, intorno alla metà del ‘700, ad emanare delle norme, affinché i coloni, lontani per molti mesi dal maggior centro abitato, potessero osservare il riposo festivo e le relative pratiche religiose. Per la diocesi di Taranto mons. Giuseppe Capecelatro (1778-1816) raccomandò ai proprietari delle masserie la costruzione di cappelle a proprie spese e il loro funzionamento. Per questi motivi troviamo sul territorio alcune grandi masserie dell’epoca con chiesette annesse, di solito, costruite fuori del nucleo abitativo. Il catasto onciario del 1750, che doveva certamente riportare anche per Palagianello le masserie presenti all’epoca, è andato purtroppo parzialmente distrutto durante gli eventi bellici della 2a guerra mondiale.

L’Ottocento: la quotizzazione dei demani
Bisognerà attendere l’Ottocento, con le sue riforme agricole, perché a Palagianello si possa cominciare a parlare di proprietà agricola privata. Dopo la soppressione del regime del pascolo della Regia Dogana per la mena delle pecore nel 1806, il nostro paesaggio agrario tra il primo e il secondo decennio dell’Ottocento, come del resto quello pugliese, era caratterizzato da una preponderante prevalenza del la cerealicoltura, del pascolo naturale, dell’incolto e del bosco, che ricopriva tutto insieme, l’80% del territorio di Puglia. In particolare – nell’agro di Palagianello – pascoli, incolti, macchie e boschi occupavano il 70% del territorio, il 25% era coltivato a cerealicoltura e solo il 5% ad oliveti e vigneti. Nel 1880 vigneti e oliveti occupavano il 25% del territorio, pascolo, bosco, macchia e salina il 35%, il resto era coltivato a cereali. Nel catasto murattiano, compilato nel 1815 e nel quale le masserie sono denominate case rurali, si riscontra la presenza della maggior parte delle masserie ancora oggi esistenti nel nostro territorio, in quanto gran parte di esse furono costruite o ampliate in seguito alla quotizzazione dei demani. Nel 1792 Ferdinando IV emanò la Prammatica, con la quale intendeva ripartire i demani comunali. Ma è con la legge del 2 agosto 1806, che sanciva la eversione della feudalità, e con il decreto dell’11 novembre 1807, che istituiva la relativa Commissione Feudale perla quotizzazione dei demani – nata per dirimere le controversie tra i Comuni e i feudatari -, promulgate in periodo napoleonico con l’intento di formare una classe di piccoli proprietari terrieri, che si concretizzò effettivamente in Italia verso la fine dell’Ottocento la spartizione degli atavici feudi del Sud. Notevole influenza in senso negativo, per lo sviluppo autonomo delle masserie di Palagianello, risultò il periodo dal 1807 al 1908, in cui il Nostro fu aggregato al Comune di Palagiano. Infatti la Commissione Feudale procedette con metodi di ripartizione che non sempre furono “chiari”, soprattutto riguardo ai demani promiscui, cioè quelli ricadenti fra Palagianello e Palagiano, dei cui pascoli, tra dispute e accordi, avevano usufruito per secoli i feudatari dei due casali. Un esempio è il demanio Conoccchiella. Nella controversia con l’ex feudatario, Palagianello fu rappresentato dal Sindaco di Palagiano. Vista la ripartizione fatta a tutto vantaggio di Palagiano, c’è sempre stato il sospetto che Palagianello non fosse stato rappresentato in modo imparziale. Attualmente la stesso fabbricato della masseria Conocchiella si trova divisa tra i due Comuni. Alla Difesa S. Felice, in demanio di Palagiano, viene accorpato parte del demanio Parco Casale di Palagianello. L’ 11 aprile 1811 i periti agrimensori nominati dalla Commissione Feudale misurarono e ripartirono l’intero demanio ex feudale tra il Comune di Palagianello e il marchese di Santeramo. Al Comune fu assegnata una quota composta da: 1 /4 dei demani Giardino della Lama e Conche; 1/2 dei demani Sacramenti, Nuovo Titolato, Conocchiella ex feudale, Cugno di S. Colomba, Difesella, Parco della Stalla e Serrapizzuta. Al Caracciolo, marchese di Santeramo, fu assegnata una quota composta da: 3/4 dei demani Giardino della Lama e Conche; 1/2 dei demani Sacramenti, Nuovo Titolato, Concchiella ex feudale, Cugno di S. Colomba, Parco della Stalla e Serrapizzuta. Nei demani di Parco del Casale e Conocchiella, dichiarati universali, e quindi non soggetti a ripartizione, furono individuati 42 cittadini “naturali” di Palagianello, i quali risultarono coloni, perché conducevano a quel titolo i terreni demaniali delle suddette contrade. Quest’ultima assegnazione fu oggetto di forti contestazioni anche da parte del Caracciolo – che pure inizialmente si era dimostrato favorevole, forse con l’intenzione di acquisirli in seguito -in quanto i demani della Conocchiella contenevano i terreni migliori, ma, una volta assegnati a colonia, non potettero più essere oggetto di ripartizione. Nel 1824 furono operate divisioni parziali dei demani di Parco del Casale in 78 quote, Titolato in 289 e Conocchiella in 291, per un totale di 548 quote. Esse furono sorteggiate fra i 531 cittadini che ne avevano fatto richiesta. Di questa assegnazione non sono mai stati ritrovati documenti dai quali ne risultasse la relativa omologazione con Decreto Regio. Per questo motivo, ancora oggi sussistono contenziosi tra coloro che si ritengono gli eredi dei quotisti e il Comune. La successiva quotizzazione venne promulgata con Decreto Regio del 1 ° gennaio 1861, resa operante nel 1869 e conclusasi nel 1871 e nel 1876.1 Commissari incaricati ripartirono i demani di Serrapizzuta in 118 quote, Fontana del Fico in 15, Parco del Casale in 79, Pecoriello in 130, Conocchiella in 70 e Difesella in 347, per un totale di 759 quote; decisero di farne l’assegnazione per testa, vista la vasta estensione del territorio rispetto alla popolazione. Il Consiglio Comunale di Palagiano nella seduta del 4 dicembre 1870 deliberò i criteri di valutazione per l’assegnazione per testa delle quote, secondo il seguente ordine:

  1. I naturali di Palagianello, ossia i Cittadini originari;

  2. I figli di Cittadino o Cittadina originaria;

  3. E nel supero di questa, i nati in Palagianello, quantunque figli di genitori forestieri.

Compilato l’elenco, in 743 rispondevano ai requisiti. Pertanto fu estesa la possibilità di concorrere all’assegnazione delle quote anche a coloro che, pur essendo nati in Palagianello, risiedevano in altro Comune: si aggiunsero così altri tre nominativi. Senza assegnatari rimasero ancora tredici quote, che si decise di concedere a coloro che ne avessero fatto semplice richiesta. Anche questa volta l’assegnazione avvenne per sorteggio. Le quote furono concesse in via provvisoria, cioè in attesa di ratificazione regia, e con clausole che prevedevano:

  • il pagamento del canone annuo di L. 10 per la durata di 20 anni, con il divieto, durante il periodo di riscatto, di venderle, ipotecarle o cederle a creditori;

  •  la possibilità di alienare la quota a coloro che non avessero rispettato le precedenti clausole, che non avessero pagato il canone per 3 anni consecutivi, che ne avessero abbandonato la coltivazione per un intero anno, e infine a coloro che fossero deceduti senza che ne fossero subentrati gli eredi.

Tutte le quote furono omologate con Regio Decreto del 1° ottobre 1871, tranne 13 quote che dovettero attendere il Regio Decreto del 28 febbraio 1876, dopo la risoluzione dei contenziosi sorti. La mancanza di incentivi e di sgravi fiscali, almeno fino a quando la terra avesse prodotto un reddito tale da consentire il pagamento del canone annuo, dettero l’avvio a una serie di manovre che miravano a spossessare i quotisti meno abbienti. Il Sindaco e il Decurionato di Palagiano appoggiarono tali operazioni. Infatti già nel marzo del 1832, cioè ad appena otto anni dalla prima grande quotizzazione, vennero concesse, dietro “supplica”, ben 98 quote “abbandonate” nel demanio Titolato a Giuseppe Capone, dando così origine alla odierna masseria Capone. Infatti,egli, stravolgendo lo spirito della legge, che con l’assegnazione delle terre intendeva migliorare le condizioni di vita delle classi rurali meno abbienti, riconcedeva le terre a coloro che erano ritenuti i migliori coltivatori, anche se non naturali di Palagianello, purché ricchi possidenti, cioè in grado di pagare anche gli arretrati dei quotisti morosi. Si innescò, quindi, un meccanismo che portò alla creazione di veri e propri latifondisti, quali il già citato Capone e ancora Martellotta, Carano, Masella. Inoltre, la creazione dei latifondi era favorita dal Governo dell’Italia appena unificata, che si garantì, così, l’appoggio delle popolazioni rurali del sud, e segnatamente dei galantuomini, – nuova classe di piccoli e grandi proprietari terrieri – per combattere il fenomeno del brigantaggio. Sia i quotisti del 1824 che quelli del 1871 operarono sconfinamenti e dilatazioni delle quote ai danni dei demani liberi confinanti, così come è risultato alle verifiche effettuate nel 1911/19, 1928 e 1958. In alcuni casi, infine, le quote ritornarono al demanio.

Il Novecento
I problemi irrisolti delle quote demaniali accorpate nei latifondi si trascinarono ancora a lungo. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento le condizioni di vita dei contadini dell’Italia meridionale erano disastrose. Scrive il senatore Faina, relatore dell’inchiesta parlamentare sui contadini meridionali: “Nel moto generale di tutte le classi sociali per la conquista di un miglioramento economico, al contadino meridionale non si presentano che tre vie: o rassegnarsi alla miseria, o ribellarsi, o emigrare”. Rassegnarsi non era possibile, vista la fame; la ribellione era già stata sperimentata con il brigantaggio; non rimase altrochè attraversare l’oceano. La grande migrazione, cominciata intorno al 1870 e avversata dai governi dell’epoca, risolse il problema del brigantaggio e toccò punte massime tra il 1901 e il 1913 con circa 8 milioni di individui: 3.374.000 erano contadini meridionali! Nei primi anni del Novecento, in seguito alla diffusione delle ideologie socialiste, comincia la prima grande ribellione moderna delle classi bracciantili per il possesso della terra. In epoca fascista si tentò di risolvere la questione dei demani con l’istituzione dei Commissariati per la liquidazione degli Usi Civici (1927).
La riforma fondiaria degli anni ’50, pure ottenuta a seguito di durissime lotte, e che nelle intenzioni del legislatore mirava a ridurre il latifondismo e a migliorare le condizioni di vita delle classi rurali più disagiate, non ha in effetti raggiunto lo scopo. Infatti, in seguito all’industrializzazione del Mezzogiorno si è verificato il graduale abbandono o la vendita delle quote, determinando, oggi, la creazione di nuovi latifondi. Nel catasto corrente, istituito nel 1921 e con il quale i terreni vengono suddivisi in partite e particelle numerate e differenziati in categorie, secondo il tipo di coltura, per operare i relativi carichi fiscali, le masserie sono riportate con il termine di fabbricato rurale. Esso fu rinnovato nel 1936 e denominato Nuovo Catasto dei Terreni.

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