Le Masserie – prima

Le Masserie storiche del territorio di Palagianello

Parte prima

Dall’antichità al medioevo
Nei secoli il popolamento delle campagne in Puglia ha visto diversi tipi diinsediamento abitativo: dalla “villa rustica” di epoca romana al “chorion” bizantino (quasi un comune rurale a conduzione familiare), dai “casali” medioevali (agglomerati rurali di case abitate da coloni stagionali, di solito vicini ad insediamenti monastici) alle “masserie regie” di età sveva o angioina (fattorie di proprietà demaniale, nelle quali si praticavano la cerealicoltura e l’allevamento, soprattutto di pecore). Spesso è riscontrabile una stratificazione di insediamenti nello stesso sito, che, senza soluzione di continuità, va dagli insediamenti più antichi fino alla moderna masseria. Il territorio agricolo di Palagianello è stato abitato fin dall’antichità: i ritrovamenti archeologici databili in epoca preistorica (nella gravina di S. Lucia tra le chiese rupestri di S. Nicola, SS. Eremiti e Riparo Manisi sono stati trovati reperti risalenti al Paleolitico medio e superiore), apulo-greca, romana e bizantina ci inducono a credere che la popolazione fosse organizzata in villaggi agricoli. Nel IV-III sec. a. C. gli insediamenti rurali nel nostro territorio occupano le zone di Mangiaricotta, Serrapizzuta, Parco di Stalla, Coppolachiatta e Difesella nei pressi delle omonime masserie, dove sono state ritrovate alcune necropoli. Nella zona Pecoriello, a circa 100 m. dalla masseria La Tonata, la scoperta di una parte di mosaico risalente al II sec. d. C. ha confermato che era presente una villa rustica romana: purtroppo di questo reperto, ormai disperso nel terreno, rimangono solo alcune foto scattate all’epoca del ritrovamento. Nella stessa zona il rinvenimento di frammenti di un vaso databile al I sec. d. C, di frammenti di una lapide di marmo bianco risalente al II-III sec. d. C. e di pance di anfore di ceramica africana del IV sec d. C, ci inducono a credere che il posto sia stato costantemente abitato, molto probabilmente da appartenenti alla classe dirigente.

Per notizie più dettagliate dei siti archeologici esistenti, si rinvia alla scheda storica di ogni masseria.

La crisi dell’Alto Medioevo vide svilupparsi nelle gravine del nostro territorio villaggi rupestri, veri e propri centri agricoli dotati di organizzazione economica e sociale che avevano lo scopo, essendo collocati in gravina, di creare una barriera difensiva contro le incursioni di popolazioni in cerca di nuovi siti da occupare stanzialmente oda depredare, eventi molto frequenti in epoca medioevale. Nel territorio di Palagianello, come del resto inaltri comuni della zona, troviamo diversi insediamenti rupestri, anche in contrade agricole distanti vari chilometri dal maggior centro abitato. Nella gravina di Santa Lucia sono presenti gli insediamenti di San Nicola, dei SS. Eremiti, della Chiesa anonima, di Sant’Andrea, di San Girolamo, di Santa Lucia, di Jazzo Rivolta, di Serrapizzuta.

La Regia Dogana per la mena delle pecore
La Regia Dogana per la mena delle pecore in Puglia fu organizzata nel 1443 da Alfonso V d’Aragona, (1396-1458), detto il Magnanimo, figlio adottivo di Giovanna II, regina di Napoli. Visto il fenomeno della trasumanza che sussisteva, e sussiste ancora oggi, a causa della diversità climatica tra la Puglia e le regioni limitrofe – Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata -, Alfonso V perfezionò la mena a scopo di lucro, assicurando così al Regio fisco del Regno delle Due Sicilie un congruo introito, che si rivelò il più valido supporto economico per circa 400 anni e che virtualmente si estinse con la legge emanata il 21 maggio 1806. Il re stabilì la sede della Regia Dogana dapprima a Lucera nel 1443 con a capo il catalano Francesco Montluber e dal 1° agosto 1447 la trasferì definitivamente a Foggia, confermando doganiere a vita lo stesso Montluber. Le greggi si radunavano verso la metà del mese di ottobre nel riposo (grande luogo di sosta del bestiame) del fiume Saccione, nei pressi delle attuali città di Chieuti e Serracapriola, dove i funzionari della Dogana quantificavano i capi di bestiame, assegnavano le zone di pascolo e stipulavano i contratti. Tali contratti, della durata minima di sei anni, obbligavano i proprietari degli ovini a fruire dei pascoli della Dogana; a corrispondere i canoni relativi, anche se non avveniva lo sfruttamento del pascolo; a vendere nella città di Foggia, nella Fiera che iniziava l’8 maggio, i prodotti della pastorizia, con lo scopo di non esentarsi dal pagamento del canone di fitto; a rientrare nei luoghi di provenienza con il nullaosta della Dogana. Per esercitare una sorveglianza costante sulla transumanza si precisarono dei percorsi, denominati tratturi e legati ai luoghi di partenza e di arrivo, larghi fino a 111 metri. Il tratturo più importante tra Abruzzo e Puglia fu il Tratturo del Re, che collegava l’Aquila a Foggia per un percorso di 224 Km. Dai tratturi fu creata una fitta rete di obbligate vie di collegamento e di accesso ai pascoli, costituita da tratturelli e viottoli. Nella nostra zona, dove un grande centro fu Castellaneta, erano utilizzati i regi tratturelli Martinese, Gorgo, Tarantino, delle Ferre, Palagiano Bradano, alcuni dei quali ancora oggi esistenti e segnati sui fogli di mappa del Nuovo Catasto dei Terreni, anche se della maggior parte di queste “lunghe vie erbose”, come le ha definite Italo Palasciano, sono rimaste solo poche tracce sul territorio pugliese. Furono istituiti luoghi di sosta e di controllo – riposi – su tutto il territorio interessato. Dall’anno 1550 la Regia Dogana quantificò le superfici da adibire a pascoli e quelle a coltivazioni, ponendo il divieto assoluto di variarne l’uso. II fenomeno della transumanza ha rivestito una notevole importanza per la nascita di gran parte delle masserie pugliesi, sia per la sua durata – circa 400 anni – sia per la quantità di ovini transumati (1.700.000 capi nel 1474, 3.000.000 nel 1574, 2.000.000 nel 1610, 950.000 nel 1815), che per gli addetti (uomini, cavalli, muli, cani, ognuno con un compito specifico). Tra il personale impegnato esisteva una vera e propria gerarchia: il massaro, i pastori, i pastoricchi, i butteri, i casari; ogni 10.000 capi di bestiame vi erano circa 100 uomini, che assommavano a una forza lavoro di 20.000 – 25.000 unità. Gli addetti alle greggi per procurarsi cibo e soprattutto acqua fissavano le loro postazioni stabili in prossimità dei grandi casali o dei conventi, che essendo luoghi già abitati, disponevano di pozzi. Per postazione stabile si intende un insieme di ricoveri, da utilizzare da ottobre a maggio, composti da casupole e recinti, costruiti per lo più in pietra, cioè con i materiali trovati sul posto, necessari per abitarvi e per la lavorazione dei prodotti caseari. In seguito, con lo stabilizzarsi del fenomeno e con il ritorno degli stessi addetti, anno dopo anno, nello stesso luogo, fu consentito, anche sui terreni destinati al pascolo, la costruzione di fabbriche più solide e ospitali. Nasce così la posta, cioè la postazione fissa, alla quale ritornare l’anno successivo. Nella posta notevole importanza riveste lo spazio destinato ad ospitare gli ovini, ossia l’ovile, denominato stazzo o jazzo, che aveva più comparti con una prevalenza di tre e con l’ingresso quasi sempre orientato a Sud per poter usufruire della maggiore esposizione solare. A Palagianello nella masseria Parco di Stalla sono visibili più jazzi a comparti multipli e addirittura a 2 piani. Il fenomeno della transumanza, così organizzata, comporta una netta distinzione dei contenuti e dei requisiti delle masserie: ci saranno, quindi quelle che gli studiosi hanno definito masserie di pecore, strutturate per l’allevamento degli ovini, e le masserie da campo, destinate all’agricoltura. Questa distinzione rimase viva in Puglia fino agli inizi dell’800, ma già a partire dal 18 settembre 1790, quando grazie a una particolare procedura furono alienate alcune poste, ed in seguito con la legge emanata il 21 maggio 1806, sotto la dominazione francese, che dichiarava soppressa la Regia Dogana, veniva concesso il possesso stabile della terra. Si gettarono, quindi, le basi per una diversificazione dell’uso del territorio agricolo.

Il Cinquecento ed il Seicento
Benito Spano dice che, per secoli, i documenti riguardanti qualsiasi regione del Mezzogiorno parlano di casali, e non ancora di masserie, per indicare l’abitato agricolo, né si conoscono documenti che accennino all’esistenza di masserie come espressione di abitato stanziale prima del Cinquecento. Il termine masseria, infatti, ha assunto secondo i luoghi e nel tempo, significati diversi come dimora, terreno seminativo, mandria, contratto agricolo. Nel catasto del 1600 che riguarda i tenitori della Terra d’Otranto, il termine masseria indica solo la proprietà agricola o di allevamento di coloro che vengono denominati massari di campo o massari di pecore – vista la netta distinzione dell’uso del terreno creatasi per effetto della transumanza. Secondo quanto riporta B. Spano, l’inchiesta fiscale del 1531 coglie “tra Napoli e Terra d’Otranto” la presenza della masseria edile, germinata come costruzione rustica e dimora di campagna in mezzo ali’ antico insediamento dei casali. Se in Puglia questo è valido soprattutto per la Capitanata, che nei secoli XVI e XVII riforniva di grano il Regno di Napoli, in gran parte della Puglia, invece, la presenza di vaste locazioni adibite a pascoli sotto il controllo della Regia Dogana e l’affermazione dei poteri tipicamente feudali, non consentirono alcun tipo di espansione fondiaria ai privati. Tuttavia, per l’esclusione dei beni ecclesiastici e per le esenzioni fiscali di cui godevano i ceti privilegiati, i catasti del Seicento non consentono una completa conoscenza dell’organizzazione delle colture agricole e delle diverse proprietà rurali, per cui risultano insufficienti per verificare la presenza di masserie nel territorio. A Palagianello grandi furono le dispute, nel tempo, perii possesso dei pascoli trai feudatari della zona – Domini Roberti, De Ribera, Caracciolo – e soprattutto quelli di Palagiano. Si ha notizia, infatti, di un concordato stipulato il 15 settembre 1464, quindi subito dopo l’istituzione della Regia Dogana, “tra il Magnifico Giacomo Faccipecora utile Signore del Casale di Palagiano e il Magnifico Stefano Domini Roberti della città di Taranto utile Signore del Casale di Palagianello sulla fida degli animali nei territori dei casali predetti”. Nel Cinquecento e nel Seicento la proprietà fondiaria di Palagianello era totalmente concentrata nelle mani dei feudatari succedutisi: i Domini Roberti fino al 1633, i De Ribera fino al 1669 e i Caracciolodal 1671 con Giovanni Battista, marchese di Santeramo e di Cervinara, fino al 1806, che limitarono moltissimo il fenomeno delle nascenti masserie. E’ accertato, invece, che sorsero le stazioni di posta, legate al fenomeno della transumanza, quali Parco di Stalla. La maggior parte della popolazione di Palagianello non disponeva di abitazioni, se non quelle scavate nel tufo – case-grotte – o di capanne in tufo coperte a cannizzo e per le quali era tenuta al pagamento del fitto – casalinaggio- insieme ad una imposta di famiglia – focaggio – oltre a una singolare tassa detta la prestazione della gallina al tempo della strina, seu Capodanno, che fu abolita dalla Commissione Feudale solo nel 1810. Tra il 1648 e il 1669 Palagianello raddoppiò la sua popolazione arrivando a contare 360 abitanti per un totale di 72 fuochi, al contrario di quanto accadeva in tutto il Regno di Napoli, dove si registrò un notevole calo demografico per vari motivi: infestazione dei bruchi, peste, carestie, guerre. Per le notizie riportate ntY apprezzo- del 1676, redatto dal Regio Ingegnere Luise Nauclerio, si rinvia alla scheda storica di ogni masseria.

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